Manipolazione:
il “gaslighting”.
Le parole che non corrispondo alle azioni si chiamano manipolazione.
E rifiutarsi di esserne ritenuti responsabili si chiama “gaslighting”.
Il gaslighting (si pronuncia “gaslaiting”), nell’odierna letteratura psicologica, è una forma di manipolazione in cui il manipolatore, la manipolatrice, pianta in segreto - più o meno coscientemente - il seme del dubbio nella mente e nel cuore di chi ha preso di mira - in genere il partner - arrivando a fargli mettere in discussione la propria memoria, percezione della realtà oggettiva e capacità di giudizio.
Questa forma di manipolazione può provocare cambiamenti profondi nella psiche di chi è stato manipolato ad arte, quali la dissonanza cognitiva - la fatica della mente di conciliare due idee contraddittorie: “so che mi tradisce, però continua a dirmi che ama solo me - e l’azzeramento dell’autostima, isolandolo e rendendolo ulteriormente fragile e quindi ancora più dipendente dal supporto e dalla convalida emotivi del manipolatore stesso.
Utilizzando la negazione, il depistaggio, la contraddizione e la disinformazione, la manipolazione attraverso il gaslighting ha lo scopo di destabilizzare emotivamente la vittima - che arriva a convincersi di essere eccessiva, esagerata o, nei casi più gravi, pazza - e delegittimarne le convinzioni.
Può succedere a molti di noi, non soltanto ai “deboli”.
A me è successo.
E a te?
The Peiffer Foundation International
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NICOLETTA COLVARA
Academy of value creating training programmes. International Independent Academy of Positive Thinking - Vera Peiffer Method.
Operating as usual
Amare fa rima con rispetto
Rispetto.
Parola nobilissima, rispetto.
Affonda le sue radici nell’antica lingua latina “respicere”, traducibile con “guardare di nuovo”, “guardare indietro”, “considerare”.
Rispetto e calda considerazione sono la materia di cui è fatto l’amore.
Tuttavia rispetto può anche essere inteso come “aver ri-guardo nei confronti di qualcuno”.
Il rispetto, quello autentico, mai servile, ossequioso, sottomesso, ha a che fare con il desiderio di continuare a osservare e imparare da una persona luminosa.
Che non vuol dire affatto perfetta o avulsa dalle umane tribolazioni, tutt’altro: un essere umano luminoso possiede un cuore che palpita di vita, che rispetta, ha riguardo, ama e protegge la vita tutta, la sua e quella dei suoi simili.
E non si può rispettare qualcuno che si teme.
Non è così?
E si temono i despoti.
I despoti non sono rispettati perché in loro presenza si ha paura e quindi non si è in grado di esprimere il proprio sé autentico.
Le relazioni costruite sul dominio da una parte e la sottomissione dall’altra, attraverso la paura e il ricatto sono precarie ma stabili fino al momento in cui l’autostima di chi ha paura si risveglia e provoca scosse come quelle di un terremoto.
E il tiranno si adira perché il suo dominio di terrore è stato sfidato dal senso del valore e di giustizia di chi dominava.
Un governante che nei momenti cruciali della vita non è in grado di governare se stesso è incapace di amare.
Il rispetto, quello vero, quello reale, affiora e abbraccia la relazione nel momento in cui entrambi dedichiamo il nostro prezioso tempo a mostrarci a vicenda un possibile percorso di vita e di amore che vale davvero la pena emulare e percorrere.
Un percorso tracciato non soltanto con mere parole, bensì con comportamenti, azioni quotidiane.
Azioni ripetute.
Ogni sacrosanto giorno.
Con questo cuore nostro aperto e onesto.
Un percorso di vita e d’amore che vuole essere reciproco, paritario, gentile, premuroso, generativo e, soprattutto, che non ha niente a che fare con il dominio sull’altra, l’altro, con la paura, l’intimidazione e il ricatto della punizione suprema: essere banditi dal proprio dominio.
È una porta che si apre all’amore che accoglie.
Un amore che mai sminuisce.
Un’amore che al contrario valorizza l’altro, l’altra.
Valorizzare te rende realmente libero me.
Libero di amare per davvero.
L’anima d’inchiostro 🖤
Nella foto:
“La nostra capacità di rispettare gli altri è il vero segno della nostra umanità.
Il rispetto per gli altri è l'essenza dei diritti umani".
~ Daisaku Ikeda

SE STAI LEGGENDO QUESTO POST…
Ti auguro tempo per fare ciò che è necessario, ma anche per poterti divertire e rilassare.
Ti auguro energia per dedicarti a te stesso, agli altri, e ai tuoi sogni e passioni.
Ti auguro di guarire le ferite fisiche e quelle del cuore e dell’anima.
Ti auguro di avere i soldi di cui hai bisogno per realizzare al meglio la tua vita e anche per aiutare chi si trova in difficoltà.
Ti auguro di trovare o creare ciò che ti fa ba***re il cuore e brillare gli occhi.
Ti auguro che arrivino nella tua vita persone, situazioni e opportunità meravigliose per creare felicità, amore, abbondanza e prosperità per tutti.
Ti auguro gioia, armonia, bellezza, entusiasmo, passione e gratitudine.
E la forza e il coraggio di affrontare tutto ciò che la vita ti porta, con la fede e la determinazione di chi sa che può farcela.
(whit love, Momy ♥️)
L’abuso celato:
infettando l’amore.
Chi abusa invidia fino ad odiare la capacità di amare, seppur in maniera ingenua e non adulta, di chi è riuscito a far innamorare attraverso la seduzione, impersonandone il suo tanto anelato “sogno d’amore”.
Una volta sedotta, chi abusa mira a distruggere la sanità mentale della persona che ha fatto innamorare, che a sua volta, pur non rendendosene conto, si è innamorata non già di un essere reale, con forze e fragilità, pregi e difetti, luci e ombre tipicamente umane, ma di una magistrale messa in scena, un ologramma dell’amore “perfetto”.
Se anziché mentire spudoratamente, chi abusa avesse abbastanza fegato da dichiarare la verità su chi è realmente, direbbe sin dal primo momento:
"Sappi che sono un bugiardo patologico fino al midollo."
"Me ne fregherò altamente dei tuoi bisogni o dei tuoi sentimenti, trovandoli nel migliore dei casi noiosi, oppure pericolosi per la mia immagine di amante perfetto.”
“Ti distruggerò nell’anima così lentamente che, né tu, né nessun altro intorno a noi si renderà conto di come ti sto riducendo, attribuendolo in seguito, quando ti avrò scartato, alle tue ferite pregresse."
“Ti biasimerò risvegliando i tuoi stessi rimorsi di coscienza e la tua stessa vergogna, ma non mi metterò mai in discussione."
“Non provando compassione proprio come i rettili, ti ferirò e ti manipolerò facilmente senza curarmi affatto del danno che sto provocando alla tua mente e al tuo cuore.”
"Ti tratterò in un primo momento come un trofeo da mettere in bella mostra, poi come fonte di approvvigionamento, fintanto che avrai l’energia per nutrire la mia immagine di amante perfetto, fino a succhiarti quasi tutta la forza vitale, proprio come un vampiro, ma mai ti tratterò come essere umano degno del massimo rispetto, riguardo e calda considerazione.”
"Ti farò camminare sui gusci d'uovo. Proverai un senso di sfinimento dall’essere sempre allerta, dal timore di dire o fare quella cosa sbagliata che potrebbe provocare in me uno scoppio di rabbia incontrollata, che finirai col sentirti un relitto di persona."
“Farò di tutto per farti dubitare delle tue percezioni della realtà e delle tue intuizioni - che suonano campanelli d’allarme a tutto volume - spingendoti a credere di essere tu folle.”
“Creerò un’alleanza con la tua ombra interiore, il tuo sentirti ‘non abbastanza’, la tua incapacità di credere di meritare tutto l’amore semplicemente perché esisti, e insieme infetteremo opportunisticamente la tua naturale pulsione alla vita.”
“Invidierò fino ad odiare la tua capacità di continuare ad amarmi (perché io non ne sono capace) facendo tutto ciò che è in mio potere per tentare di distruggerla.”

L’abuso celato: confondendo l’empatia con la compassione.
Chi abusa prova empatia?
L’empatia è definita etimologicamente come la capacità di creare una simulazione piuttosto accurata di ciò che l'altra persona pensa e prova dentro di sé.
L’empatia è quindi fondamentalmente efficace nella simulazione soggettiva.
In parole povere, riesco ad immaginare - e a indovinare - piuttosto bene che cosa tu stai pensando e provando nel momento in cui io ti osservo.
Torniamo a chi abusa: prova empatia?
La separazione è nel linguaggio che utilizziamo nella vita di tutti i giorni.
In molti siamo abituati a parlare d’empatia.
Ciò che spesso confondiamo con empatia, magari senza saperlo o rendercene conto, è la compassione: il desiderio fondamentale insito nel cuore umano di voler alleviare la sofferenza, risvegliando al tempo stesso quella potente forza in chi, a causa della sofferenza, pensa e sente di non averla, o di averla perduta.
L’empatia può essere una fredda osservazione.
La compassione è sempre una calorosa e affettuosa considerazione per l’altro, per l’altra, anche nel caso si stia litigando.
Chi sa come venderci bene prodotti o servizi, o se stessi, se stesse, può senz’altro esprimere empatia: la capacità d’immaginare molto bene che cosa pensiamo e proviamo internamente, al fine di farci firmare quel contratto, di concludere quella trattativa.
Ma non è affatto detto che provi compassione, che è il desiderio insito in ogni vita di alleviare il dolore e risvegliare forza in chi soffre.
Il mercante di parole che ci vende l’illusione di un amore a cui da chissà quanto tempo abbiamo anelato, può esprimere senz’altro empatia - soprattutto nella fase iniziale della seduzione, in cui ci osserva per poi simulare i nostri pensieri e le nostre emozioni.
Tuttavia non è affatto scontato che provi compassione nei nostri confronti.
Ed è proprio lì, nella totale assenza di compassione, verso l’altra, l’altro, che possono celarsi abusi, soprusi, violenze e maltrattamenti di ogni tipo.
Quali possono essere i campanelli d’allarme che ci avvertono - se solo li ascoltassimo - che potremmo essere in presenza di chi, ben fornito d’empatia ma privo di compassione, abusa dei propri simili?
Dato che l’empatia si limita a simulare pensieri ed emozioni, non è detto che venga da un cuore sinceramente affettuoso.
Chi abusa sa simulare bene anche l’affetto.
Nei momenti cruciali della vita di tutti noi - conflitti, problemi e difficoltà di vario tipo ed entità - chi abusa non esprime alcun calore umano, alcun affetto (gli psicologi lo chiamano “empatia affettiva”), ma freddezza; proprio come un rettile.
Non esprime gentilezza, bensì critiche mirate a distruggere proprio quei pensieri e quelle emozioni che ci appartengono, e che aveva indovinato simulandole ad arte per conquistarci.
Critiche mirate a distruggere il nostro spirito.
Chi abusa commette una truffa emotiva, uno stupro all’anima; compie un atto bellico contro lo spirito.
(Nella foto:
“La nostra capacità di rispettare gli altri è il vero segno della nostra umanità.
Il rispetto per gli altri è l'essenza dei diritti umani.”
~ Daisaku Ikeda)

Assolvendoci
… Bisogna perdonare chi ha abusato, maltrattato, mancato di rispetto alla nostra dignità, alla nostra persona, ai nostri sentimenti.
Bisogna perdonarli per tutti gli orrori e le malefatte …
… Stavo facendo dell’ironia.
Chi abusa, chi usa violenza danneggiando fisicamente e moralmente i suoi simili, non sente alcun bisogno della tua o della mia assoluzione.
Al contrario, in genere crede fermamente di non aver fatto niente per cui aver bisogno di assoluzione, e nel caso ammetta di essere stato violento od offensivo, non è stata colpa sua ma di chi ha subito la sua violenza.
Di assoluzione ha bisogno chi la violenza l’ha vissuta in prima persona e tra le mura domestiche, e come risultato si sente pure in colpa e se ne vergogna.
Ha bisogno
di assolversi.
Chi abusa, ha mancato di rispetto e di riguardo, ha usato in maniera impropria il bisogno d’amore e d’appartenenza dell’altra, dell’altro, i suoi sentimenti e la sua persona, torturando la sua mente e il suo corpo, imprigionandola nel dubbio e nella paura di non sapere più percepire correttamente la realtà, sfruttandola a suo piacimento, uso e consumo per il proprio approvvigionamento, per poi scartarla senza tanti convenevoli e diritto di replica.
Un tale comportamento non può essere in alcun modo colpa di chi ha vissuto violenze e abusi.
Vogliamo sviluppare la capacità di sentirci in grado di assolverci per aver provato dei sentimenti per chi non era la brava persona che ci aveva fatto credere di essere, non ci ha fatto del bene, ci ha mentito spudoratamente e ripetutamente.
Vogliamo sentirci in grado di assolverci per essere stati ingannati.
Vogliamo sentirci in grado di assolverci per essere stati sedotti ed esserci entrati in relazione.
Se siamo disposti con grande umiltà e sincerità ad affermare a noi stessi, “Mi assolvo”, possiamo fare un passo avanti nel nostro percorso di recupero e nella nostra vita tutta.
L’unica colpa, se proprio non possiamo fare a meno di darcene una, l’unico errore, l’unico “peccato”, sono stati innamorarsi di un altro essere umano.
A me non pare che innamorarsi sia una colpa così grave, un errore così irrimediabile, un peccato così imperdonabile.
E a te?
(Nella foto:
“La non-violenza è la più alta forma di umiltà;
è coraggio supremo.”
~ Daisaku Ikeda)

Usando impropriamente l’amore: l’abuso occulto.
Di “abuso narcisista” e, parallelamente, di “dipendenze affettive” già ne parlano in tanti.
Una pletora di esperti proliferano su tutti i social media.
Sembra essere il trend del momento.
Anche se il narcisista sembra essere quasi universalmente riconosciuto come chi abusa, osservo d’altro canto come il dipendente affettivo sia sovente dipinto come un soggetto imperfetto, debole, “malato” di un bisogno d’amore infantile, di mancanza di indipendenza e maturità emotive, perché è in fondo la sua storia passata che si ripete, le sue antiche ferite che si riaprono, il suo “karma” che si rimanifesta in questa esistenza, che gli hanno fatto “attrarre” (o creare) nella sua vita l’abuso di un farabutto senza scrupoli.
Un po’ come uno di quei giudici dei tribunali di appena un paio di generazioni fa, che a una ragazza violentata faceva notare come comunque aveva scelto di indossare la minigonna, ragion per cui la violenza se l’era anche un po’ cercata.
Il dipendente affettivo - o presunto tale, visto che la dipendenza affettiva non può neanche essere diagnosticata, né classificata come disturbo nel manuale diagnostico dei disturbi psichiatrici - ripete sì una storia: quella che è solo e unicamente colpa sua se è stato maltrattato, violentato nel corpo o nell’anima, abusato: se il suo bisogno d’amore è stato usato impropriamente (quasi sempre a porte chiuse).
Una conclusione, a mio avviso e per mia esperienza, a dir poco disumana: priva di rispetto per la dignità della realtà - già manipolata e messa in dubbio ad arte - di chi è stato ingiustamente maltrattato.
Nessuno merita di essere abusato.
Nessuno.
Rileggi.
Parlo per esperienza personale vissuta sulla mia stessa pelle e come professionista testimone in quasi tre decadi di lavoro con tanti esseri umani sopravvissuti ad abusi di ogni tipo, da quello verbale a quello sessuale, tutti profondamente dolorosi (un dolore spesso al limite della tolleranza psicologica) traumatizzanti, che lasciano ferite sanguinanti della paura d’amare; della paura di vivere liberi di andare avanti a testa alta verso un futuro felice.
Proprio come in natura esistono i parassiti, chi abusa dei propri simili è un’entità parassitica intrinsecamente immutabile, che non ricerca il mettersi in discussione, il cambiamento, la trasformazione, la crescita, ma vuole semplicemente essere alimentato - rifornito - per mantenersi in vita esattamente così com'è.
Proprio come i ladri nei nostri quartieri sono una realtà, chi abusa è in realtà un ladro di vita, della forza vitale dell’amore: quello deciso, creato e alimentato solo e unicamente dall’altro.
Chi abusa, per giustificare e dare un senso alla sua esistenza, ricerca il controllo, il dominio sull’altro, proprio come i grandi dittatori del ventesimo secolo, governanti incapaci di governare se stessi e dunque incapaci d’amare.
Il compito (ingrato e spesso inconsapevole) di chi subisce maltrattamenti, è quello di rifornire chi lo abusa di ciò di cui ha bisogno per mantenere immutabile la sua struttura parassitica e la sua forma attuali: un amore che chi abusa odia, perché si vergogna sia di riceverlo, sia di non riuscire a provarlo.
Chi abusa è privo della capacità di auto riflessione, non prova alcun sano rimorso di coscienza, non è capace d’interfacciarsi in modo empatico e compassionevole, non ha né l’energia, né lo slancio per crescere e maturare.
E niente di tutto questo è, o potrebbe mai essere stato, colpa di chi ha vissuto ed è sopravvissuto a un abuso.
Erano già così, quando si sono fatti strada nella nostra vita come mercanti di parole: truffatori emotivi.
E poi avrebbero voluto farci credere che fosse solo e unicamente colpa nostra, così avremmo continuato ad elevarli, ad alimentarli, ad essere una fonte di approvvigionamento per loro e di privazione per noi.
Se davvero vogliamo creare un mondo libero dalla violenza e dai soprusi, possiamo iniziare con il rifiutarci categoricamente di giustificare qualsiasi forma d’abuso con una positività posticcia, un perdono prematuro e con teorie pseudo-spirituali che non fanno altro che alimentare un senso di vergogna tossico in chi ha vissuto ed è riuscito a sopravvivere a un abuso e già lotta ogni santo giorno per guarire da un trauma complesso, cercando di riaccendere la speranza in un futuro prospero.

Rispettandoci
Secondo gli “esperti”, pare che una delle principali caratteristiche che rende noi esseri umani attraenti e attrattivi sia il rispetto di sé.
Come possiamo imparare a rispettarci?
Facendo cose che gli altri rispettano?
Raggiungere traguardi ritenuti dal mondo importanti o sinonimo di successo?
Pretendendo rispetto dagli altri?
Niente di tutto questo.
Il modo più efficace per imparare a rispettarci è iniziare a prestare attenzione a come interagiamo con noi stessi: la “voce interna” che siamo abituati ad ascoltare quando parliamo a noi stessi.
Che cosa dice quella voce?
E, se proprio in un momento di difficoltà, ci dicesse:
“Sei sempre il solito!”
“Sei un fallito!”
“Sei uno stupido!”
“Non combinerai mai niente di buono!”
vogliamo prendere atto che nella nostra mente risiede un bullo.
Sì, un bullo che ci spaventa criticandoci, distruggendo il nostro spirito - eh già, soltanto la lode, l’apprezzamento, e l’incoraggiamento autentici edificano lo spirito umano.
Fermare l’autocritica distruttiva è la metà della soluzione di qualsiasi problema che stiamo affrontando.
Parecchio.
Possiamo imparare a rintuzzare così alle critiche cattive di quel bullo che dimora nella nostra testa:
“A meno che non inizi a trattarmi con amore, non avrai accesso al mio cuore.”
Perché in fondo, riflettiamo, non è forse un responso di buon senso?
Immagina:
se io, proprio quando sei in difficoltà, ti telefonassi soltanto per dirti che sei una fallita, uno stupido, che non combinerai mai niente di buono, ti arrabbieresti (giustamente) e smetteresti di rispondermi al telefono; non mi permetteresti di continuare a mancarti di rispetto, non è così?
Per alcuni di noi - e parlo per me in primis - il bullo numero uno nella nostra vita con tutta probabilità siamo proprio noi.
Senza bisogno di arrabbiarci - sarebbe peggio - senza bisogno di contrarsi e assumere una postura difensiva, ma semplicemente rispettando la nostra dignità:
“A meno che non inizi a trattarmi con amore, non avrai accesso al mio cuore”.
Con fermezza e insistendo con costanza - il bullo è recidivo - ogni volta che ci rendiamo conto che la nostra voce interna ci sta criticando.
Cominceremo a rispettarci di più, ed emaneremo naturalmente intorno a noi l’energia del rispetto di noi stessi.
E, sempre secondo gli “esperti”, il bonus è che diventiamo anche più attrattivi e attraenti.
Nello stesso modo in cui il bullismo va fermato e punto - senza se e senza ma - rintuzzando i maltrattamenti dei bulli, possiamo imparare a rispettarci non pretendendo rispetto dagli altri, ma rintuzzando le critiche del bullo che abita nella nostra mente:
“A meno che non inizi a trattarmi con amore, non avrai accesso al mio cuore.”
(Ringrazio Lilia Sajeela Gerace per sua la foto.)

Dignitosamente vulnerabili
Dignità è un concetto che può essere reso semplice da comprendere.
Semplice non è sinonimo di facile.
Dignità equivale al nostro valore innato.
Ognuna, ognuno di noi - e ogni forma di vita - possiede un valore innato.
Innato vuol dire che tutte e tutti nasciamo con questo valore.
È parte integrante di chi siamo dal momento in cui veniamo al mondo.
È essenzialmente chi siamo e ci unisce, come nodi della stessa rete, a tutto ciò che pulsa di vita in questo universo.
È semplice afferrare il senso di questo valore innato se immaginiamo un neonato, e l'amore e la gioia che il semplice fatto di essere venuto al mondo ispira in noi - i genitori sanno bene di cosa sto parlando.
Non solo lo possediamo, ma questo valore, oltre ad essere innato, è inestimabile, unico e irripetibile; insostituibile.
Nessuno può sostituirsi a noi. Nessuno può essere noi meglio di noi stessi.
La dignità è al tempo stesso vulnerabile: nel corso della vita, infatti, il senso del nostro valore potrebbe ve**re leso una o più volte.
Dunque, dignità vuol dire il valore che tutte e tutti, senza eccezione, possediamo: un valore inestimabile e al tempo stesso vulnerabile.
Semplice.
La dignità è diversa dal rispetto.
Alcuni di noi, alla domanda cosa vuol dire per te dignità, potrebbero rispondere:
“Essere rispettati".
Rispetto e dignità, sulla base di un simile presupposto, sembrano essere la stessa cosa ma questo potrebbe costituire un ostacolo nella risoluzione dei conflitti, che siano tra due persone o su scala globale.
Se la dignità equivale al valore che tutti possediamo, il rispetto è un qualcosa che ci guadagniamo con sforzo - sì, sforzo, quella fatica buona che fa breccia nei nostri limiti - e con impegno seri e sinceri, con azioni e comportamenti che ispirano rispetto in chi decide di riporre la sua fiducia in noi.
Soprattutto in situazioni di conflitto, gli esseri umani tendono sovente a confondere il rispetto con la dignità.
Qualcuno potrebbe affermare, magari con un tono rabbioso:
“Pretendo di essere rispettato!”.
L’implicazione nascosta in questa dichiarazione tuttavia potrebbe essere: "Voglio essere trattato con dignità; voglio essere trattato da essere umano degno!”
In un conflitto, se non rispettiamo il nostro avversario - qualunque sia la ragione che ci ha portato a non rispettarlo - sarà estremamente difficile esigere - per non parlare di ricevere - rispetto dalla controparte.
Ma il presupposto di partenza potrebbe cambiare in:
“Tutti meritano di essere trattati con dignità” - per il valore inestimabile e vulnerabile che tutti possiedono.
E per risolvere un conflitto, ciò che sarebbe necessario far accadere in primis è restituire dignità alla relazione: entrambe le parti meritano di essere trattate con uguale dignità.
Questo presupposto è diverso dal mero esigere rispetto dall’altro.
La ricerca neuroscientifica ha rilevato che il cervello sembra non fare distinzione tra una lesione fisica e una ferita alla nostra dignità - i neuroscienziati sostengono che si attiva la stessa area del cervello.
Ci prendiamo cura delle nostre ferite fisiche affidandole alla professione medica.
Ma per le lesioni alla nostra dignità siamo in molti ancora a non sapere a chi rivolgerci.
E quelle ferite, se non curate, rischiano d’infettarsi e suppurare, indurendoci.
Proprio così: le ferite alla nostra dignità induriscono la nostra umanità.
Sia che ce ne rendiamo conto o no, tiriamo su muri per proteggere la nostra dignità lesa.
Ci sono alcuni elementi da tenere a mente, se decidiamo di onorare e praticare la dignità nella vita di ogni giorno:
Accettazione dell'identità:
Tutti noi desideriamo essere accettati (che vuol dire essere ricevuti) per chi siamo, come siamo.
Riconoscimento:
Riconoscimento delle nostre qualità peculiari e del modo unico in cui ciascuno di noi vive la propria vita.
Inoltre, in quanto esseri umani, abbiamo bisogno di sentirci visti, ascoltati, importanti (che facciamo la differenza) nella vita di qualcuno.
Inclusione:
L'inclusione è un elemento tanto importante quanto potente quando pratichiamo l’onorare la dignità.
L’essere umano ha bisogno di sentire un senso di appartenenza, sentirsi parte di una comunità, non sentirsi ai margini, isolato, abbandonato, solo.
Indipendenza:
Chi di noi non desidera essere libero e autonomo nelle sue decisioni e vivere una vita piena di fiducia nelle possibilità?
Senso di sicurezza:
Non solo la certezza di non essere danneggiati o feriti fisicamente, ma anche nel cuore e nell’anima: non essere raggirati, traditi, umiliati, svergognati, rifiutati, emarginati.
Senso di giustizia:
Chi di noi non desidera essere trattato in modo equo e imparziale?
Comprensione:
Tutti ricerchiamo comprensione, paradossalmente perfino da chi noi per primi facciamo fatica a comprendere e non siamo inclini ad instaurarci rapporti significativi.
Nel momento in cui onoriamo la dignità in un’altra persona, le offriamo il beneficio del dubbio, lo spazio necessario per esprimersi e raccontarci chi è, le sue esperienze e come le ha vissute; che cosa ha provato in cuor suo.
In questo modo possiamo comprendere e sentirci compresi.
Senso di responsabilità:
Tutti meritiamo delle scuse quando la nostra dignità viene ferita dalle parole o dalle azioni di qualcun altro.
Adesso t’invito ad utilizzare la tua capacità innata d’immaginare e sentire:
Come ci vedremmo nella nostra vita di ogni giorno, e come ci sentiremmo, se decidessimo di onorare la dignità in tutte le nostre interazioni quotidiane?
Immaginiamo: come sarebbero i nostri rapporti, se tutte le persone con cui entriamo in contatto si sentissero da noi viste, ascoltate, comprese, accettate nella propria identità unica e irripetibile, perché stiamo onorando la loro dignità?
A questo punto, qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi:
“Ma a me, che cosa me ne viene?”
Ancora una volta, semplice: quando onoriamo la dignità nei nostri simili, stiamo rafforzando il senso della nostra stessa dignità, del nostro stesso valore.
Il che, in parole povere, vuol dire che quando trattiamo bene gli altri, la nostra dignità, il nostro valore, risplende.
Per onestà di cuore:
l’aver scritto sulla dignità non mi rende di certo un “esperto” nella pratica quotidiana di onorare la dignità negli altri, o immune dal violarla.
Non è mai una questione di conoscenza, ma d’intenzione espressa in una pratica assidua.
Il cambiamento non è un evento, ma un processo incrementale, fatto di azioni ripetute ogni giorno.
Una sorta di allenamento spirituale.
Potremmo decidere di iniziare oggi stesso ad allenarci nella pratica della dignità, per cambiare il destino dell'umanità intera domani, cominciando noi stessi: dal modo in cui ci trattiamo le une con gli altri.
Confidando nel valore inestimabile e al tempo stesso vulnerabile che ogni vita possiede, compresa la nostra.
Confidando che “rispettare la dignità della vita” può fare la differenza nel processo di creazione di una pace sostenibile per la nostra specie umana, così tanto ferita e divisa.
Coscienti che chi decidiamo di essere può fare la differenza nella vita di qualcuno.
Max
(Per questo scritto mi sono ispirato alla ricerca di Donna Hicks, professore associato al “Weatherhead Center for International Affairs” all’università di Harward, e autrice del saggio in Inglese “Dignity: The Essential Role It Plays in Resolving Conflicts”.)

Un atto di coraggio che sa di amore.
Un’intimità autentica è un incontro tra due cuori, al di là delle differenze che ci rendono esseri unici e irripetibili.
È un invito a incontrarci senza aspettative di essere meglio o di più, senza idealizzazioni proiettate sull’altra, sull’altro, senza secondi fini.
Un’autentica intimità non richiede meriti speciali o prodezze sessuali.
È un invito a mostrarci come siamo, completamente rivelati, svelati e presenti qui.
È un invito a toglierci quella maschera che cela antiche vergogne, a spogliarci di tutti quei travestimenti che indossiamo per sopravvivere nel mondo.
È un invito a fidarci che siamo abbastanza, così come siamo in questo preciso momento: nulla da aggiungere, nulla da togliere.
Un’autentica intimità ci viene incontro e va verso l’altro, l’altra, a braccia aperte e non conserte, proprio al punto in cui tu ed io ci troviamo in questa vita, non dove vorremmo essere o pensiamo che “dovremmo” essere.
Potremmo immaginarla come ti**re un enorme sospiro di sollievo che affiora e viene rilasciato quando finalmente sappiamo, sentiamo dentro dentro, che non è più necessario recitare la solita pantomima per sentirci visti e accettati.
Un’autentica intimità è fatta di sani confini senza i quali il caos generato dall’antica paura di non essere accettati - proprio come noi abbiamo imparato a non accettarci - ci fa sentire entrambi sopraffatti.
Un’autentica intimità è un atto di coraggio: apriamo il nostro cuore e, di conseguenza, ci sentiamo vulnerabili.
È saper proteggere la nostra vulnerabilità e, al tempo stesso, saperci contenere per rispetto della dignità, del valore di entrambi, senza allagare l’altro, l’altra, con le nostre emozioni né, al contrario, erigere spessi muri di cinta intorno al cuore che non lasciano uscire niente di chi siamo realmente.
Amare ci rende per forza di cose vulnerabili.
La vulnerabilità non è affatto debolezza: è quello spazio dentro in cui nasce il desiderio di crescere, di creare, d’innovare.
La vulnerabilità è essenziale all’intimità.
Per sentirci sicuri pur sentendoci vulnerabili, decidiamo di credere, accettare, ricevere, affidarci alla verità che siamo abbastanza così come siamo.
Eccoci qua, tu ed io, così come siamo.
Un’autentica intimità è un atto di coraggio che ha il sapore dell’amore che abbraccia luci e ombre tutte.
Un amore non soltanto sentito ma anche fortemente deciso, in ogni istante.
Max
Nella foto:
“Il dialogo inizia dalla coraggiosa disponibilità a conoscere e a farsi conoscere dagli altri.
È lo sforzo scrupoloso e costante di rimuovere tutti gli ostacoli che oscurano la nostra comune umanità."
Daisaku Ikeda
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Alla The Peiffer Foundation International la nostra visione è aiutare le persone, facilitandole attraverso una serie di tecniche, a riconciliarsi con se stesse confrontandosi in modo costruttivo con il proprio passato, affinché possano sentirsi più positive nel presente.
Chiamiamo queste tecniche semplicemente ‘filosofia positiva’.
Tutti possono apprendere il nostro metodo e utilizzarlo in autonomia per migliorare la qualità della propria vita.
Entrambi, Max ed io, insieme ad un numero di professionisti formatisi alla The Peiffer Foundation International, facilitiamo percorsi di gruppo e individuali che aiutano le persone a trovare pace e felicità in se stesse.
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